Fu già nell’anno 1960 che io, unitamente a un gruppo di colleghi amici delle due Province di Potenza e Matera, ci riunimmo allo scopo di fondare una SOCIETA LUCANA DI MEDICINA E DI CHIRURGIA, ai fini esclusivamente culturali. Sembrò, allora, ad alcuni, in un primo momento, una spericolata esperienza, avendo altri prima di noi tentato di farla, ma che purtroppo, per una ragione o per altra, il tutto si era risolto in un deludente insuccesso. Una iniziativa analoga, infatti, era già stata presa dall’indimenticabile Prof. Giulio Gianturco, fallita per la immatura improvvisa scomparsa del promotore. Noi in verità fummo più fortunati: la solerte attività del Prof. Gildo Spaziante, l’allora Direttore Sanitario dell’Ospedale S. Carlo di Potenza e l’entusiasmo di noi tutti fecero sì che il sogno si tramutasse in realtà.
Il 27 novembre del 1960 io designato, pur immeritatamente, Presidente della neonata Società, ebbi il privilegio e l’onore di pronunciare il discorso inaugurale.
La Società Lucana di Medicina e Chirurgia aveva avuto il suo battesimo. Di essa era stato proposto, altresì, il Comitato Direttivo di cui fecero parte valenti sanitari del tempo. E precisamente oltre me: 1. Il Prof. Gennaro Guazzieri, Primario Chirurgo dell’Ospedale di Matera 2. Il Dott. Antonio Guerricchio, Primario Medico dell’Ospedale di Matera 3. Il Prof. Giuseppe Marcucci, Primario Chirurgo dell’Ospedale di Potenza 4. Il Prof. Potito Petrone, Primario Medico dell’Ospedale di Potenza 5. Il Prof. Carlo Superbi, Primario Ostetrico dell’Ospedale di Potenza 6. Il Prof. Giudo Barbieri, Primario Chirurgo dell’Ospedale di Tricarico.
La maggior parte di essi sono purtroppo trapassati, ma noi superstiti li ricordiamo con profonda nostalgia. Si stabiliva con regolare statuto che la Società avrebbe organizzato due Congressi all’anno che si sarebbero tenuti alternativamente nell’ambito delle due Province e i risultati sarebbero stati raccolti di volta in volta negli ATTI.
Gli iscritti furono allora n 87. Quale sia stato lo sviluppo ulteriore della Società in questo lungo lasso di tempo appare ben chiaro: la Società ha resistito ininterrottamente, è ancora in vita ed è quanto mai fiorente. A dire degli attuali dirigenti il numero degli aderenti supera il migliaio. Tutti i medici delle due Province sono orgogliosi di farne parte, collaborano attivamente presentando lavori scientifici di indubbio valore. Si aperta una porta che li facilita nella pubblicazione dei risultati, frutto di studi e di esperienze. Gli argomenti da essi trattati sono quanto mai vari e riguardano tutte le branche della medicina. Possiamo perciò concludere che l’esistenza di una Società Medica culturale si è dimostrata quanto mai utile, anzi indispensabile. Affermando ciò non intendiamo affatto rivendicare a noi il merito di averla creata,ma vogliamo soltanto sottolineare che, in virtù di essa, è più facile e agevole per i colleghi studiosi insinuarsi nel mondo scientifico. I risultati dei lavori vengono conosciuti e commentati in tutta l’Italia e anche all’estero. L’ indispensabilità di esse si sente ancora di più in questo attuale momento in cui si è costretti a costatare con il più grande rammarico che il medico, suo malgrado, si allontana sempre più dall’ammalato a causa di un sistema burocratico pachidermico che gli ha tolto ogni personalità. Il poter scrivere il risultato di ricerche che andrebbero fatalmente perdute è motivo di giusta soddisfazione. Ovunque si riconosce una infinita tristezza che al medico è stato sottratto il mestiere più difficile e più bello, essendo egli stato privato di un diritto fondamentale che è quello del rispetto della dignità del malato e si comprende come soltanto attraverso le associazioni culturali egli può trovare rifugio sfuggendo ad una situazione che, a mezzo di U.S.L., di ticket, di cartellini, di timbri e di altre inqualificabili innovazioni, ha fatto di lui anzichè un professionista, un modesto impiegato.
Occorre sottolineare, in questa occasione, che tutte le storture alle quali quotidianamente assistiamo, non sono, a mio parere, colpa del medico sia pur egli della mutua, dell’Ospedale, della Clinica, dal Primario fino all’ultimo infermiere. Il personale medico cerca di fare del suo meglio per alleviare le sofferenze del prossimo. E’ il suo mestiere, ma deve sottostare e combattere contro una disumana burocrazia che ha ingannato medico e ammalato. Tutto quanto detto riguarda certamente la intrinseca produzione scientifica, ma collateralmente all’attività strettamente professionale vi è una vasta schiera di medici (ed è questo motivo della presente riunione) che al di là dell’attività professionale pura, sente il bisogno di estrinsecare la propria personalità in campi diversi. Vi è cioè una categoria non trascurabile che, con soddisfazione e compiacimento, cerca di esprimere un felice connubio fra arte medica propriamente detta e le Belle Arti, intendendosi per queste innanzitutto la letteratura, ma anche la poesia, la pittura, la scultura, e, anche in campi più recenti, come la fotografia, la cinematografia, la filatelica,la numismatica e tante altre affinità nelle quali i nostri colleghi si sono dimostrati valenti e addirittura Maestri Se si guarda al passato si rileva addirittura che la tendenza,da parte dei medici, ad attività extraprofessionali si è sempre verificata.
Non pochi sono i medici che hanno sentito la necessità di estraniarsi un po’ dalla monotona attività giornaliera, che ha avuto però sempre la preminenza, e di avvertire che le esigenze dello spirito, apparentemente differenziatissime, possono essere abbinate da rapporti costanti e indissolubili. Il medico e l’artista sanno bene che ciascun essere è particolare a sé stesso, che l’uomo non ha alcunché di astratto e che non si può rassegnare ad essere un’ unità esclusivamente materialista.
Tale coincidenza di pensiero avvicina il medico all’artista sino ad identificarli tant’è che si contraccambiano la loro missione. Ciò è avvenuto da sempre: si può dire fin da quando la medicina ha assunto il carattere di scienza. Si deve risalire a tempi immemorabili per constatare questa avvincente realtà verificatasi dappertutto non esclusa la nostra Lucania. Colui che si è dedicato, sia pure saltuariamente agli studi della Storia della Medicina, non è rimasto indifferente a meravigliosi esempi. Bisogna risalire a molti secoli addietro, addirittura al 1200-1300 (al periodo dantesco) per venire a conoscenza di un tale Eustachio da Venosa (per alcuni da Potenza) che fu, oltre che insigne medico, cultore di opere classiche ed ancora egli stesso poeta latino.
Anche se la bibliografia di costui è circondata da dati tutt’altro che attendibili, sono a lui attribuiti gli “Epigrammi sui bagni di Pozzuoli” ed ancora “Il methodus de natura et temporibus hominis” e De situ urbium” ed infine un poema sulle gesta di Federico II. Tanto risulta da studi di ricercatori storici e letterati rigorosi come G.Fortunato, Sergio De Pilato, Tommaso Pedio. Risalendo nei secoli ci imbattiamo in un altro illustre personaggio Paolo D’Avenia di Pisticci,vissuto nel 1600. Egli fu medico insigne,ma anche storico ed è giunta a noi “La caduta et rovina di Pisticcia nostra patria”. Fu messa in luce la vita complessa di questo illustre medico Del Sinodo Materese del 1597. E’ però solo nell’800 e nel 900 che si hanno notizie sicure sull’attività umanistica dei Medici Lucani. E’ lecito ricordare, per il breve tempo concessoci in questa sede, limitatamente i più noti. Decio Albini di Montemurro, vissuto dal 1864 al 1923, umanista di gran talento, si occupò non solo di scienze mediche, ma anche di questioni storiche. Egli scrisse “Sulla spedizione di Sapri”,”Sulla insurrezione Lucana dell’agosto 1860”, “Sulla partecipazione di Montemurro alla Rivoluzione Lucana” ed infine “Sulle città della Scandinavia”.
Fummo fortunati, inoltre, noi della nostra generazione, ad avere il privilegio e apprezzare direttamente illustri colleghi e maestri come Orazio Gavioli, di cui famosi restano gli studi di Botanica per i quali raggiunse lusinghiera fama mondiale. Il figlio Federico Gavioli ereditò dal padre l’arte del bisturi, ma si esplicò oltre che nel campo della chirurgia (divenne docente universitario), anche in attività extraprofessionali e fu poeta, scrittore, oratore brillante. Conserviamo di lui un lavoro storico su Cercato Roccatagliata Ceccardi, un poeta spezino simpatico e originale per una genialità sregolata, che ebbe notorietà ai principi di questo secolo. Conserviamo ancora una raccolta di poesie e cioè “I petali del loto”, “I colori dell’ansia”, “L’anima del liuto”. Ricordiamo con deferenza la figura di Fabrizio Padula di Trivigno, che fu Direttore della Clinica Chirurgica dell’Università di Napoli e che, oltre che sommo Maestro di Chirurgia, fu anche artista geniale tanto da essere appellato “mago architetto e mago scultore”. Ne fanno fede le opere scultoree riunite nella villa delle Fate di Capodimonte e nella villa giovinezza di Pinto. E’ doveroso ricordare ancora Domenico Ridola di Ferrandina, nato nel 1841. Egli già medico affermato, all’incirca verso il1878,incominciò ad interessarsi di studi archeologici,che culminarono nelle fondamentali scoperte del periodo preistorico nella zona della Provincia di Matera. Tali studi furono riconosciuti tanto importanti da portarlo al laticlavio del Regno. Si deve a lui la creazione del famoso Museo Preistorico di Matera.
Infine e per ultimo, ultimo inteso anagraficamente, è ancora sotto i nostri occhi un protagonista dell’arte poetica, Francesco Galasso, ginecologo e ostetrico di chiara fama, carissimo amico, stroncato recentemente da un grave male. La sua produzione artistica è veramente multiforme: giornalista, pubblicista, poeta, romanziere, commediografo, si occupava verso la fine di dialettismo,traducendo in genuino dialetto potentino addirittura l’Inferno di Dante. Si ricorda a tal proposito che stava preparando un altro lavoro,stampato postumo: Pinocchio anch’esso in dialetto potentino. A tutti questi medici illustri scrittori scomparsi, ma sempre vivi nel nostro ricordo, per gli insegnamenti trasmessici, vadano i sensi della riconoscenza di tutti coloro che al di la della professione medica,si dedicano con amore a tante esigenze dello spirito. A conclusione di questo breve intervento sarebbe lecita una domanda: ma perché noi medici scrittori lasciamo per un momento il bisturi e prendiamo la penna e ci dimostriamo sensibili alle belle arti? La risposta è agevole: si scrive certamente non per ragione di guadagno,ma solo perché trascinati da innata passione, passione che tante volte si tramuta addirittura in vizio, vizio paragonabile al fumo o alla droga, di cui non si può fare a meno e che, fra l’altro si aggrava con il passar degli anni. E’ un vizio che però ci allontana per un momento da quelle tristezze della vita alle quali siamo quotidianamente esposti. Anche se oggi la medicina viene praticata con indirizzi diversi da quelli tradizionali, restano immutati i sentimenti nella loro eternità. .
Prof. Vincenzo Marsico